L'arte borghese della guerra proletaria by Andrea Apollonio

L'arte borghese della guerra proletaria by Andrea Apollonio

autore:Andrea Apollonio [Apollonio, Andrea]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Rubbettino
pubblicato: 2018-09-30T22:00:00+00:00


7.

Cinque mesi erano passati senza che Carlo fosse nuovamente contattato da Biondi, dal colonnello o da chiunque altro. Aveva sognato molte notti il discorso di Valerio Borghese, gli erano risuonate più volte le parole “ordine”, “caos”, “Stato”, “Patria”, “comunismo”, sparse disordinatamente nel suo universo onirico. In quelle notti, si era sentito più solo di sempre; ma quelle parole adesso non gli risuonavano e quel viso duro e scavato non gli appariva quasi più. E anche la tensione, dovuta all’attesa mista al timore di dover nuovamente montare sulla camionetta militare, con il passare dei giorni, e poi delle settimane, si sciolse pian piano. Era finalmente passata l’estate, si stava esaurendo l’autunno; anzi, era già cominciato l’inverno.

Carlo sembrava non pensarci più; ipotizzò che quel piano fosse saltato, o fosse stato scoperto, o che qualcuno fosse stato arrestato o rimosso. Ma non dubitava che Valerio Borghese fosse ancora in attività, e magari sempre a capo della macchina complessa che avrebbe dovuto accompagnare l’Italia verso un nuovo ordine sociale.

Peraltro, tra le pagine dei giornali che consegnava, talvolta scorgeva passi di sue interviste. Era molto gettonato dalla stampa anticomunista, e i suoi toni erano facilmente riconoscibili. Una la lesse per intero: l’intervista rilasciata a Giampaolo Pansa per «La Stampa», titolata I deliri del principe nero; la lesse attratto, in particolare, dal suo sottotitolo (Dove va il mondo dell’estrema destra), giacché anche lui voleva capire dove sarebbe finito, se avesse davvero tenuto fede al patto con il colonnello, e dunque avesse attivamente partecipato al golpe, come gli era stato richiesto di fare. Anche se non aveva certo dimenticato che l’accordo aveva l’espressa durata di un anno. E quell’anno di incertezza, di sospensione e di contrasti interiori andava finalmente esaurendosi.

A settembre aveva incontrato sul treno per Pavia un amico di Tito, che volle avvicinarsi e parlare proprio di lui. Carlo non avrebbe più voluto sapere niente di Tito; sapeva solo che non era morto, perché il suo nome non era compreso nella lista commemorativa che ogni tanto si volantinava nei cortei, né in quella che il «Borghese», giornale di destra, pubblicava ciclicamente da alcuni mesi, in prima pagina, nel riquadro in fondo bordato di nero, presentando singolarmente quei nomi come le vittime del comunismo rivoluzionario e sovversivo.

«Hai saputo di Tito, vero?». Quella domanda produsse in Carlo sentimenti contrastanti. Da un lato, fu atterrito dal fatto che qualcuno lo volesse informare, dopo che lui ne aveva deliberatamente ricercato l’oblio; anzi, nel presente continuava ancora a combattere con gli spettri che quell’amicizia breve, squilibrata e perversa aveva prodotto. Ma dall’altro era vinto dalla curiosità, dalla voglia di sapere, una volta per tutte.

«No, non ho saputo. Cosa?», rispose Carlo dissimulando sorpresa.

«Era nella banca dell’Agricoltura», disse seccamente. Non serviva aggiungere altro, ormai “banca dell’Agricoltura” aveva assunto un ben preciso significato nel gergo comune. Indicava un evento esatto, un luogo specifico, delle colpe palesi. Era sinonimo di strage, ma anche di comunismo rivoluzionario. E per gli osservatori più attenti, anche di inizio dell’ignoto.

«Non posso credere che i compagni abbiano fatto qualcosa del



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